giovedì 13 novembre 2014

LE LIBERTA' DI FACEBOOK



Carissimo Cardinali,
Ti scrivo perché anch’io come Matteo Bernardini sul Vernacoliere d’ Agosto, penso che Marmugi abbia preso un granchio col suo pezzo “Facebook mi fa caà”. Pur condividendo molte delle cose che sostiene credo però che Marmugi non ne abbia colto l’essenza fino in fondo, perché è proprio in ciò che lui più critica che si nascondono le libertà e le grandi possibilità che Facebook dà senza, peraltro, chiedere niente in cambio: è un social network gratuito, che paghi solo con il tuo tempo, con i tuoi dati anagrafici, con porzioni di vita privata, con una dedizione quotidiana che spesso i genitori non hanno più neanche per i figli, proprio perché, a volte, troppo intenti a pubblicare e tenere aggiornato il proprio profilo e a postare con leggerezza, con quella superficialità tipica di Facebook, qualunque cosa -cito testualmente Marmugi- che non “scuota o colpisca” nessuno, e che non deve per forza “risultare originale e illuminante” perché, come dice Bernardini, “non c’è niente di male se i pensieri su Fb non sono trattati di Kant”. E con la stessa leggerezza, Facebook dà la possibilità a chiunque, indistintamente, di esprimere e condividere opinioni su qualunque cosa, di commentare la qualsiasi, senza il peso di doversi dilungare in noiosissimi approfondimenti o spiegare perché qualcosa “Mi Piace”: un’ icona col pollice in su è più che sufficiente ad esprimere quel che uno pensa e poi, lo facevano anche gli imperatori! E non è vero che “Faccebook non cambierà mai nulla” come sostiene Marmugi, cambierà ancora tante altre cose, invece, oltre a quelle che ha già cambiato nei rapporti sociali (non dimentichiamo che è un social network!) e che, come dice Bernardini, ha inserito dal basso “una forma di democrazia intellettuale che elimina la vecchia scala di valori”. Ed è proprio da queste nuove “forme di democrazia” che nascono alcune “nuove forme di libertà”, come quella di poter dire pubblicamente che Giovedì alle 21:00 andrò al concerto di Andrea o al compleanno di Mario o alla cena di Giulia e di avere la libertà di arrivare in ritardo o di non andarci affatto, senza per questo dover avvertire, rendere conto, o scusarmi con nessuno per non aver rispettato un impegno preso. Roba da “vecchie scale di valori”, appunto. E se poi al mezzo Facebook ci aggiungiamo lo Smart Phone, una delle ultime “opportunità che la tecnologia ci offre”, ecco che le libertà e le possibilità si amplificano: quest’ estate, ad esempio, mentre da Trieste andavamo a cena sul carso sloveno, una mia collega -ahi lei, milanese- ha avuto la possibilità di non staccare lo sguardo e le mani dal suo iPhone per la mezz’ora di strada che dal lungo mare di Barcola portava all’ osmizza (una via di mezzo fra un agriturismo e una trattoria), nell’ intento di controllare la strada su Google maps, postare le foto del tramonto(che ha guardato solo attraverso il telefono) e di condividere in tempo reale “quell’ esperienza digitale” con i suoi amici su Facebook. Ma la libertà più grande l’ha avuta durante il corso della cena, pubblicando foto dei piatti, del vino e di noi messi in posa con facce da Facebook e, contemporaneamente, la libertà di essere a cena con noi accennando sorrisi e lanciando sguardi  di approvazione ai nostri discorsi (probabilmente troppo analogici e un noiosi perchè più lunghi di tre frasi e un link), senza mai rinunciare alla condivisione digitale in tempo “reale”.
Ha ragione Bernardini quando dice “che nessuno ci ha obbligato a consumare, a guardare la TV, a leggere Bruno Vespa e a ingrassare le mafie […]” e che è “una nostra scelta libera”, così come siamo liberi di scegliere di avere o meno la macchina, il telefonino, di usare la corrente elettrica e di andare in ferie d’ Agosto piuttosto che a Maggio.
L’ unica cosa da cui sento di dover prendere le distanze è quando Bernardini cita “I barbari”: al Baricco saggista mi permetto di contrapporre il Battiato dietologo che a Vivaldi preferiva l’ uva passa, ché gli dava più calorie!

Un caro saluto,

Ettore Melani

venerdì 20 luglio 2012

"MIDSOMMAR"


21 Giugno, Svezia, isola di Knippla. Altro solstizio, altra festività: “Midsommar”.
Anche se nella traduzione letterale significa “metà estate”, con questo termine, in Svezia, si indica la festa nazionale che si celebra per il solstizio d’ estate. In questa ricorrenza, rigorosamente pagana, si celebra la fertilità della Terra e della Natura in generale, e in più posti del Paese, nelle piazze, nei porti o dove c’è abbastanza spazio, viene issato e piantato per terra, un palo lungo circa cinque metri completamente rivestito di foglie verdissime. Tutti sono vestiti a festa e le donne hanno i capelli intrecciati e pieni di fiori: la tradizione vuole che raccolgano sette tipi di fiori diversi, che li mettano sotto il cuscino per sognare l’amore della loro vita che, però, potrebbe non essere il loro attuale compagno. Io purtroppo ho partecipato poco alla festa: un po’ perché la sera stessa sono dovuto ripartire per Berlino e un po’ perché due giorni prima ero stato al funerale di Bror Erik Andersson, il nonno paterno della mia fidanzata. Il funerale è stato celebrato da un prete donna, venti giorni dopo la sua morte, in una chiesa del ‘500 che sembrava lo scafo di una barca di legno capovolto, a mo’ di tetto, su una stanza semplicissima, con un organo e delle panche di legno. Dopo la toccante e partecipata cerimonia siamo andati tutti in una sala attigua alla chiesa dove abbiamo mangiato un piatto tipico svedese, bevuto un caffè e salutato i familiari del defunto. La prima volta che sono andato su Knippla era in occasione del Natale 2009, faceva freddo, c’era la neve e proprio Bror mi aveva fatto sentire “in famiglia” dicendo: “Ieri era il 21 Dicembre, il solstizio d’ Inverno, il giorno più corto dell’ anno. Da oggi le giornate ricominceranno ad allungare fino al prossimo solstizio, il 21 di Giugno, e sarà “Midsommar”. Dovresti tornare qui d’ estate, dovresti vedere questo posto quando fa caldo, quando la gente fa festa . Da quel pontile si possono fare i tuffi”. Ed è veramente bella Knippla con tutta quella luce, con il sole che alle 20:00 è ancora alto e caldo. C’è vita su quell’ isola d’ estate. Ma Bror non c’è più, e non aver
  sentito la sua profonda e forte risata riecheggiare in salotto mentre guarda la TV mi ha fatto davvero effetto. Ho sentito un gran vuoto, la sua mancanza. C’è vita su Knippla d’estate, ma Bror è morto. E mi dispiace tanto.

venerdì 13 luglio 2012

"LA FORMICA, LA CICALA E FREDERICH"


Ero così piccolo quando ho sentito la storia di “La formica e la cicala” che non ricordo neanche quando è stata la prima volta. Mi ricordo solo che provavo una certa tristezza pensando alla formica che d’ estate lavorava duramente, intenta a far provviste per i momenti difficili, mentre la cicala cantava spensieratamente. E ancora più triste era la situazione ribaltata, quando, giunto l’ inverno, la cicala, andando a domandare da mangiare alla formica, si sentiva rispondere: “Hai cantato tutta l’ estate? E adesso balla!”.
Questa storia di Esopo ha la sua bella morale, è senz’  altro piena di saggezza, ma è anche cinica e senza mezze misure.
Recentemente, parlando dei progetti per l’ estate con alcuni amici tedeschi, più di uno ha fatto riferimento a Frederich, un topo che era solito “far niente” mentre gli altri componenti della sua famiglia pensavano a far provviste per l’ inverno e lo incalzavano con domande tipo: “Perché non aiuti anche tu Frederich?” alle quali lui rispondeva pacifico: “Sto aiutando, sto raccogliendo i raggi di sole e  i colori dei fiori e le parole per l’  inverno”. E quando arrivò l’ inverno e iniziò a scarseggiare il cibo, Frederich cominciò a ristorare la famiglia con le sue provviste e, raccontando del sole, dei fiori e delle parole, fece trascorrere serenamente il resto dell’ inverno.
Anche questa storia di Leo Lionni ha la sua bella morale ed è piena di saggezza, ma non è affatto cinica. Sembra voler riabilitare quelli che, nonostante le apparenze, lavorano con gli altri e per gli altri, solo che lo fanno in maniera diversa, magari con un altro ritmo, in altre forme, ma non per questo in maniera meno produttiva o meno utile alla società. Credo che il topo Frederich racchiuda in sè l’ essenza del ruolo dell’ artista e dell’ arte in generale. Dopo aver  letto questa storia, mi sento di dire che una società è  tanto più civile quanto più considera l’ Arte come qualcosa di fondamentale e indispensabile, come il pane e l’ acqua. Soprattutto nei momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, dove i primi tagli che si fanno vanno a discapito dei settori considerati superflui ma che superflui non sono. Anzi.
E poi, per dirla con Oscar Wilde, “Niente è più necessario del superfluo”.

sabato 30 giugno 2012

A SCUOLA DI TEDESCO


C’è un cinese, un turco, quattro spagnoli, una uzbeka, due polacche, un’ indonesiana, una francese, un greco, un australiano, una statunitense e un italiano. No, non è una barzelletta, sono le nazionalità dei miei compagni del corso di Tedesco B1 plus. M olte volte torno a casa frustrato, soprattutto quando sembro l’ unico a non capire cosa stia succedendo in classe, mentre tutti gli altri sembrano perfettamente a loro agio.
La quantità di informazioni che ricevo (in Tedesco!) mi fa sentire come uno con un bicchiere in mano che, mentre aspetta che gli versino da bere, prende una secchiata d’ acqua che lo sposta di peso e che appena si riha dallo shock e cerca di bere quell po’ d’acqua che c’è nel bicchiere, viene travolto da una seconda secchiata. Lo so’, può sembrare esagerato, ma vi assicuro che sono più le informazioni che uno sente di perdere rispetto a quelle che si riescono a trattenere, che l’immagine che ho descritto non è poi così lontana dalla realtà. Uno degli obiettivi del corso, infatti, è quello di riuscire a dare un vocabolario di circa trecento parole agli studenti di un corso di questo livello e perché questo accada, è necessario usare una quantità di vocaboli dieci volte superiore. Poi c’è la meravigliosa grammatica tedesca(in Tedesco!) per cui è prevista una professoressa apposita, diversa da quella di lingua “normale”, ma di questo preferisco non parlare per evitare di scadere in vilipendii vari.
Ci sono anche giorni in cui le lezioni sono piacevoli e divertenti, a volte addiruttura magiche: l’ultima volta non riuscivo a credere che insieme ad un cinese e a un turco, ognuno con il proprio vocabolario, fossimo riusciti a metterci d’ accordo sul significato di un testo da riassumere in dieci parole chiave da dire alla classe che, incredibilmente, è riuscita a capire e a ricostruire la storia di partenza. Due cose mi hanno colpito molto: 1.Per imparare una lingua nuova bisogna imparare a rispondere continuamente a domande, quali: come ti chiami, da dove vieni, quanti anni hai, che lavoro fai, e a farlo con parole nuove, accettando di avere una nuova identità, di emigrante in un Paese straniero;
2.La scuola dà lo stesso imprinting a tutti, dovunque: mettete dei banchi e una cattedra in una classe e vedrete che gli atteggiamenti di persone di diverse età, razza e nazionalità, saranno simili a quelli dei ragazzi delle medie di un qualsiasi paesino di provincia.

martedì 19 giugno 2012

RAZZISMO CULINARIO

Ogni settimana, da due anni a questa parte, ho l’abitudine di fare una passeggiata al mercato turco di Kreuzberg che si tiene il Martedì e il Venerdì sulla Maybachufer, due chilometri più a ovest sullo stesso lato del canale sul quale abito.Ci vado anche se non ho bisogno di comprare niente di particolare: mi piace camminare fra la gente che guarda, assaggia e compra frutta e verdura, carne e pesce o altri prodotti più o meno esotici in questa specie di bazaar a cielo aperto dove si mischiano voci, veli, colori e odori mediorientali nel bel mezzo della capitale tedesca.L’immigrazione turca a Berlino è iniziata cinquanta anni fa in seguito ad un accordo politico/economico fra la Turchia e la Germania con l’ obiettivo di portare 900 mila operai turchi nei cantieri tedeschi che poi, invece di tornarsene in Turchia come previsto, hanno finito col dare vita ad un fenomeno migratorio che oggi fa della Germania lo stato d’ Europa con la più grande comunità turca (fuori dalla Turchia) e la religione musulmana la seconda del Paese: si stimano, legalmente residenti in Germania, 2,7 milioni di abitanti turchi di cui 125 mila nella sola Berlino.Neukölln, il quartiere dove vivo, e Kreuzberg, con rispettivamente 27 mila e 23 mila abitanti, sono i quartieri turchi per eccellenza.In una realtà così particolare, a 300 metri da casa mia, c’è un macellaio tedesco che ha fatto una scelta di marketing piuttosto coraggiosa: ha deciso di mettere sull’ insegna del negozio, uno a destra e uno a sinistra della scritta “Fleischerei” (Macelleria), due bei maialini rosa e di vendere prevalentemente maiale.E’ cosa nota che i musulmani (come gli ebrei) non mangino maiale, così come è noto che in Germania il maiale, in tutte le sue forme, è il piatto nazionale, quasi sacro!Fra i piatti tipici della cucina berlinese uno dei più famosi è l’ Eisbein (lo stinco di maiale) che la macelleria di cui sopra serve ogni Giovedì, con crauti e patate, a 6€. Il risultato di questa scelta è che i tedeschi residenti a Neukölln e gli operai che si trovano a lavorare in zona fanno la fila per mangiare uno dei loro piatti preferiti a buon prezzo, mentre i turchi si tengono ben alla larga da un posto che impuzzolentisce la strada di maiale lesso. Che in Europa, da qualche anno, soffi un vento di destra nazionale è abbastanza evidente, ma che si arrivi a fare anche del “razzismo culinario” è piuttosto preoccupante.

lunedì 11 giugno 2012

LA TANGENTE PER MELAMPO

Melampo era un cane da guardia in “Le avventure di Pinocchio”. Alcune faine avevano comprato il suo silenzio con “una gallina bell’e pelata” ad ogni visita che andavano a fare al pollaio. Una notte Pinocchio,sorpreso a rubare l’uva nel campo, fu messo a catena al posto del povero Melampo morto da poco, ma riuscì a riscattare la sua libertà fingendo di accettare la tangente dalle faine, che invece furono denunciate appena entrate nel pollaio.
La prima volta che mi sono trovato di fronte al sistema delle tangenti, alla consuetudine del dover “pagare per lavorare”, mi sono
stupito di quanto questa fosse radicata nella mentalità delle persone comuni, nelle piccole cose, nella normale vita e di tutti i giorni:
avevo appena messo piede in teatro (1999), come tecnico di uno spettacolo di danza. Inesperto e incantato, ignaro dei meccanismi
dell’ambiente, vengo subito “iniziato”. Un responsabile tecnico del Metastasio mi propone, privatamente, di costruire dei mobili da esposizione per degli stabilimenti termali di proprietà dell’ArtHotel: io dovevo fare il progetto e la costruzione, lui le luci e una persona di sua fiducia all’interno dell’amministrazione, fare approvare il preventivo in cambio del 20% sull’affare. Come Pinocchio, fingo di accettare l’accordo, presento il preventivo(non gonfiato
della tangente), faccio il lavoro, riscuoto il compenso e non do una lira a nessuno dicendo di non essere d’ accordo con quel sistema. Per questa mia “scorrettezza” sono stato rimproverato e avvertito del
fatto che “se vuoi lavorare, a Prato funziona così, il sistema è questo”. Se dopo tre stagioni da tecnico al Metastasio ho preferito le tournèe da freelancer era per la voglia di fare esperienza e per la
mia incapacità di convivere con una mentalità mafiosa e clientelare,di accettare loschi affari con viscidi personaggi. Se oggi qualcuno si gode il lusso della pensione, qualcuno ha fatto carriera, qualcuno è rientrato dalla finestra e qualcun altro è vice presidente nel CdA del Metastasio mentre è presidente del Politeama, è perché “a Prato funziona così, il sistema è questo”, nonostante gli sforzi di quei pochi -grandi- onesti che continuano a fare bene il loro lavoro e che tentano eroicamente di cambiare le cose. A distanza di anni mi scopro pentito di non aver denunciato “le faine” per tempo come ha fatto Pinocchio, ma contento di non aver mai accettato “di reggere il sacco
alla gente disonesta”.