Carissimo Cardinali,
Ti scrivo perché anch’io come Matteo
Bernardini sul Vernacoliere d’ Agosto, penso che Marmugi abbia preso un
granchio col suo pezzo “Facebook mi fa caà”. Pur condividendo molte delle cose
che sostiene credo però che Marmugi non ne abbia colto l’essenza fino in fondo,
perché è proprio in ciò che lui più critica che si nascondono le libertà e le
grandi possibilità che Facebook dà senza, peraltro, chiedere niente in cambio:
è un social network gratuito, che paghi solo con il tuo tempo, con i tuoi dati anagrafici,
con porzioni di vita privata, con una dedizione quotidiana che spesso i
genitori non hanno più neanche per i figli, proprio perché, a volte, troppo
intenti a pubblicare e tenere aggiornato il proprio profilo e a postare con leggerezza,
con quella superficialità tipica di Facebook, qualunque cosa -cito testualmente
Marmugi- che non “scuota o colpisca” nessuno, e che non deve per forza
“risultare originale e illuminante” perché, come dice Bernardini, “non c’è
niente di male se i pensieri su Fb non sono trattati di Kant”. E con la stessa
leggerezza, Facebook dà la possibilità a chiunque, indistintamente, di
esprimere e condividere opinioni su qualunque cosa, di commentare la qualsiasi,
senza il peso di doversi dilungare in noiosissimi approfondimenti o spiegare
perché qualcosa “Mi Piace”: un’ icona col pollice in su è più che sufficiente
ad esprimere quel che uno pensa e poi, lo facevano anche gli imperatori! E non
è vero che “Faccebook non cambierà mai nulla” come sostiene Marmugi, cambierà
ancora tante altre cose, invece, oltre a quelle che ha già cambiato nei
rapporti sociali (non dimentichiamo che è un social
network!) e che, come dice Bernardini, ha
inserito dal basso “una forma di democrazia intellettuale che elimina la
vecchia scala di valori”. Ed è proprio da queste nuove “forme di democrazia”
che nascono alcune “nuove forme di libertà”, come quella di poter dire
pubblicamente che Giovedì alle 21:00 andrò al concerto di Andrea o al
compleanno di Mario o alla cena di Giulia e di avere la libertà di arrivare in
ritardo o di non andarci affatto, senza per questo dover avvertire, rendere
conto, o scusarmi con nessuno per non aver rispettato un impegno preso. Roba da
“vecchie scale di valori”, appunto. E se poi al mezzo Facebook ci aggiungiamo lo Smart Phone, una
delle ultime “opportunità che la tecnologia ci offre”, ecco che le libertà e le
possibilità si amplificano: quest’ estate, ad esempio, mentre da Trieste
andavamo a cena sul carso sloveno, una mia collega -ahi lei, milanese- ha avuto
la possibilità di non staccare lo sguardo e le mani dal suo iPhone per la
mezz’ora di strada che dal lungo mare di Barcola portava all’ osmizza (una via di mezzo fra un agriturismo e
una trattoria), nell’ intento di controllare la strada su Google maps, postare le foto del tramonto(che ha
guardato solo attraverso il telefono) e di condividere in tempo reale “quell’
esperienza digitale” con i suoi amici su Facebook. Ma la libertà più grande
l’ha avuta durante il corso della cena, pubblicando foto dei piatti, del vino e
di noi messi in posa con facce da Facebook e, contemporaneamente, la libertà di
essere a cena con noi accennando sorrisi e lanciando sguardi di
approvazione ai nostri discorsi (probabilmente troppo analogici e un noiosi
perchè più lunghi di tre frasi e un link), senza mai rinunciare alla
condivisione digitale in tempo “reale”.
Ha ragione Bernardini quando dice “che
nessuno ci ha obbligato a consumare, a guardare la TV, a leggere Bruno Vespa e
a ingrassare le mafie […]” e che è “una nostra scelta libera”, così come siamo
liberi di scegliere di avere o meno la macchina, il telefonino, di usare la
corrente elettrica e di andare in ferie d’ Agosto piuttosto che a Maggio.
L’ unica cosa da cui sento di dover
prendere le distanze è quando Bernardini cita “I
barbari”: al Baricco saggista mi permetto di
contrapporre il Battiato dietologo che a Vivaldi preferiva l’ uva passa, ché
gli dava più calorie!
Un caro saluto,
Ettore Melani